Bettona, “Il Barbiere di Siviglia” all’arena di santa Caterina

Di questa idea si è fatto portatore il musicista brufano Alessandro Zucchetti

Una volta, sotto il fascismo, c’erano i Carri di Tespi. Li istituì nel 1929 il regime, e fino allo scoppio della guerra, furono lo sfondo dell’opera lirica itinerante.
Scene, coro e orchestra montati su autocarri, si muovevano di sera in sera nei paesi più sperduti della provincia: quattro assi e un fondale ed ecco creato il magico mondo illusorio dell’opera lirica.
Cantanti giovani, ma anche notorietà come Beniamino Gigli salivano quegli improbabili teatrini itineranti e incantavano le folle.
Centinaia di migliaia di italiani della provincia furono raggiunti dalla grande tradizione del canto e del melodramma con un mezzo così semplice e altrettanto efficace, consentendo un circuito culturale e professionale oggi impensabile.

Di questa idea si è fatto portatore il musicista brufano Alessandro Zucchetti che da un paio d’anni ha stabilizzato il suo ideale carro nell’arena di santa Caterina, facendolo il luogo di serate senza pari per afflusso di pubblico e per efficacia turistica.
La scorsa estate con Traviata, venerdì sera con il capolavoro di Rossini, Il barbiere di Siviglia. Cinquecento sedie occupate e molte persone in piedi: ristoranti aggrediti, bar svuotato, alla fine non si trovava più neanche un panino. Per la orgogliosa cittadina raccolta tra le mura etrusche si è trattato di un ottimo investimento che ha ripagato la fiducia del sindaco, Valerio Bazzoffia, e del presidente della Pro Loco, Francesco Brenci che hanno sostenuto la proposta di un musicista ancor giovane che si esprime in ampia latitudine professionale.

Zucchetti, infatti, nasce chitarrista, ma si esprime come tenore, direttore di coro, compositore e concertatore di bande, in attesa di prendersi il sesto diploma-laurea in direzione d’orchestra. Per la serata di venerdì, come anche lo scorso anno, ha scelto una banda a fiati di sicura consistenza, il Concerto musicale di Cannara, la formazione del presidente Andrea Marcanti, che sotto le cure del suo maestro, Francesco Verzieri, ha assunto ruoli sempre più convincenti, come la esecuzione del Requiem di Mozart in san Matteo. Una banda quella di Cannara che ha la capacità di rinnovarsi nei suoi ranghi allevando nuovi strumentisti con la sua ottima scuola, disponendoli tra i leggii in maniera stimolante.

Zucchetti ha mostrato le competenze giuste non solo per la sua capacità di dirigere con efficacia realizzando, con poche prove e una sola generale uno spettacolo che ha dovuto anche vincere le insidie del cielo stellato e dei refoli di vento serale, ma anche per la squadra di cantanti che ha assemblato. A Cominciare dalla più giovane, Simona Cavorsi, una sua allieva del Liceo Mariotti, non ancora diciottenne, ma capace di porsi davanti al pubblico cantando impeccabilmente l’aria di Berta. Debutto, in qual che modo, anche per il ventiduenne Matteo Mencarelli, già sulla scena da diverso tempo, ma per la prima volta in pedana dopo il suo brillante diploma al Morlacchi.
Un esordio non più da studente, ma da professionista, più che altro una conferma per chi, come noi, apprezza la sua lucidità vocale e le sua dizione scolpita. Personaggi ben calibrati per gli altri ruoli della Folle giornata di Beaumarchais, messa in partitura bandistica da quel capace scrittore che il è compositore Lorenzo Pusceddu. Un montaggio che ha avuto ragione delle oltre due ore di durata dell’opera, che Mariella Chiarini impegnata sia come regista che come narratrice, ha firmato con la sicurezza del suo mestiere. Sue le scene di fondale, con l’invenzione di un box che, girandosi, faceva sia da interno di casa che da muro esterno.
Pochi elementi per un parco luci spartano, ma piuttosto efficace, con gli artisti che si misuravano con le perfidie di un libretto tra i più geniali del repertorio: Tullia Mancinelli era la scaltra Rosina, Carlo Giacchetta forniva la sua chiara vocalità al conte di Almaviva, Marco Seri era un lubrico don Basilio, mentre il veterano Andrea Sari nei panni del protagonista si occupava di corbellare il citato Mencarelli, spesso alle prese con personaggi molto più vecchi della sua età anagrafica. Non c’è chi non lo ricordi lo scorso anno rimbrottare la povera Traviata travestito da improbabile Germont. Resta da dire dei cori che erano tre, il Lirico dell’Umbria, l’Angelini Bontempi e il Controcanto. A loro il compito di districarsi nel finale primo, quell’ Alternando questo e quello pesantissimo martello che anticipa, in qualche modo, lo spietato automatismo del lavoro in fabbrica, come seppe raccontarlo Chaplin in Tempi moderni.

Hagel, il filosofo tedesco che ha plasmato il pensiero europeo, lo ascoltò a Vienna, nel 1823, quando Rossini portò il Barbiere nella tana di Beethoven. Ne fu estasiato, per quanto il genio di Bonn ne rimase irritato. Con il risultato di un gran mal di pancia per il demiurgo della Quinta sinfonia, e l’assunzione per Rossini e il suo Figaro tra le oltre mille pagina della Aestetik berlinese, come assioma della “comicità” allo stato puro, alla dimensione filosofica. Un bel risultato per un musicista che non aveva fatto neanche le scuole medie e faceva affidamento sulle furiose risorse del suo genio.


Uno spettacolo del genere, che utilizza praticamente forze professionali interamente del territorio, merita la massima attenzione da parte di istituzioni come Regione, Sviluppumbria, Fondazione Perugia, poiché non esprime progetti, ma solide realtà. Oltretutto con un impiego di mezzi minimo e un risultato che si misura il tonnellate di applausi.

Stefano Ragni

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