Al Morlacchi la gioia della musica con l’ Orchestra da camera di Perugia

La magistrale presenza di Enrico Bronzi e la novità di Cascioli

Il concerto di ieri pomeriggio era iniziato con una netta percezione di gioia, sia sul volto degli esecutori che in quello degli ascoltatori. Si voleva cominciare nel modo migliore e volevamo essere persuasi che tutto sarebbe andare secondo le aspettative.

Anche perché la posta messa in atto da Enrico Bronzi che è l’apprezzatissimo direttore artistico degli Amici della musica non era da poco: musicista abituato a spendersi in proprio il maestro parmense si esibiva, nel medesimo contesto, come superbo virtuoso al violoncello, come direttore d’orchestra e, quel che più a noi interessa, come suscitatore di talenti, come mentore di una schiera di giovani esecutori che. nel corso del breve volgere di anni, hanno seguito le sue sollecitazioni a crescere e a maturarsi in un lavoro comune. Se poi vogliamo aggiungerci anche lo stimolo a creare nuove partiture, allora il Concerto solistico di Gialuca Cascioli era veramente la pietra di paragone di una completezza di artista che raramente si raggiunge nella stessa persona.

Partiamo da questa partitura che Bronzi ha commissionato nel 2018 portandolo alla prima esecuzione nel ’21 a Matera. Si tratta di un Concerto per violoncello e archi che nella concisione dei quindici minuti della sua durata sembra mescolare la teoria di colori di Newton alla magia dei numeri frattali. In un pulviscolo purulento, che ronza di elettronica e pulsa come laser impazziti il violoncello, chiamato a una condotta di alta statura virtuosistica, mena fendenti a tutto spiano, conquistandosi quasi a fatica uno spazio lirico di innegabile fascino. Se non fossero passati tanti anni si potrebbe pensare a quelle composizioni vagamente concrete con cui Milko Kelemen provocava gli ascoltatori in epoche in cui c’era ancora qualcosa da stupirsi. Ma Cascioli, un grande pianista che in trent’anni di carriera ha percorso tutto il mondo concertistico, come compositore non vuole provocare nessuno, ma esprime le ragioni di un disordine che qualcuno potrebbe definire l’ostinazione dei “numeri primi”, concretizzati in ritmi polimodali che pullulano e si sovrappongono piegandosi a una timbrica ricchissima di micro tonalità. Potrebbe sembrare una crisi di entropia se a una certo punto il violoncello, che era stato inizialmente travolto dal magma, non decidesse di fare la voce grossa e dopo una autorevole cadenza, si mettesse nelle condizioni di ripristinare le regole del gioco, ristabilendo le ragioni di una umanità che sembrava essere stata sconvolta. Con una funzione quasi sacerdotale il solista placa le insistenti punture degli archi, le smussa e le costringe a una stupefatta coercizione. E magicamente, come di rado è dato in una pagina dei nostri giorni, l’Adagio conclusivo si chiude con una atmosfera di magia che sembra il naufragio cosmico di un sistema stellare. Una carica lirica che tutti al Morlacchi abbiamo percepito con intensità.

Nella prima parte della serata avevano prevalso le regole dei gioco stabilite da Hadyn. Quattro strumenti per la Sinfonia Concertante del 1792 per oboe, fagotto, violino e violoncello con Bronzi a dialogare con Simone Frondini, Luca Franceschelli e Azusa Onishi, quattro moschettieri pieni di voglia di conversare come le frizzanti maschere veneziane delle commedie goldoniane. Frasi fresche di cordialità, benevole e pervase di ottimismo per una squadra compatta e vincente. Indubbiamente tanti anni di sacrifici hanno dato il prevedibile frutto in un codice energetico che la fiducia di Bronzi ha fatto fruttare: un arricchimento generazionale che segna un passo in avanti nelle evoluzione della musica cittadina. E visto che di grande musica si trattava ecco la Quarta Sinfonia di Beethoven. La conosciamo poco e la si potrebbe a primo acchitto sottovalutare. Ma è proprio in quelle pagine apparentemente pervase di bonomia che Beethoven sparge i suoi spunti intuitivi che fanno fare al suo linguaggio enormi passi in avanti. Chi si ricorda poi un po’ di mitologia all’inizio della Sinfonia non può che pensare al momento in cui Prometeo dona agli uomini primitivi la scintilla del fuoco: dalle tenebre alla luce, come la Creazione di Haydn, e la nascita di una nuova umanità. Che infatti cresce ormonalmente col succedersi dei quattro movimenti, passando attraverso il sacrale Adagio centrale, per poi vorticare di giovinezza nei turbinii delle sezioni conclusive, tutte ben sorvegliate dalla attenta direzione di Bronzi che misura slanci ed equilibri in una bellissima miscela di volontà e di entusiasmo. Fino alla meritatissima ovazione finale, tributata da un pubblico dove erano rappresentati, a vari livelli, studenti delle medie, liceali e discenti del classico a indirizzo musicale. Convocati a uno spettacolo dai contorni quanto mai idonei per avvicinarsi a questo incredibile stupore della musica.
         Stefano Ragni

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