La musica e le arti alla Sapienza e Bach a San Pietro

Quintetto a fiati per le canzoni pop e Accademia Hermans per Bach

Sciolto ieri sera l’assedio dei concerti con Amici della Musica e Fondazione Cucinelli scatenati in una successione di eventi che abbiamo percorso col piacere di un esaltato furore. Il macro e il micro si sono saldati nella coesione di operare per il bene della musica, a tutti i livelli e in tutte le sue accezioni.

Sabato pomeriggio il teatrino della Sapienza era pieno di nuclei familiari, con infanti che gridavano con gioia, ma questo era previsto, accettato e anzi auspicato. Perché la forma del Family-concerto funziona così: portare i bimbi a scoprire l’incanto della musica sin dalle prime esperienze cognitive per essere trascinati nel vortice dell’incantesimo. Niente di più facile a destare l’attenzione degli ascoltatori di un quintetto di ottoni, un insieme rutilante, aggressivo e trascinante. Hanno cominciato con un pezzo di grande attrazione, il can-can di Offenbach, la danza inebriante che al suo apparire nell’operetta “Orfeo all’inferno” diede vita alla più coinvolgente colonna sonora con cui Parigi si presenta tuttora all’immaginario dei gaudenti e degli edonisti.

Non sarà stato il Moulin Rouge, ma l’inizio era buonissimo. Subito è cominciato il momento costruttivo del concerto, cioè la parte didascalica che era stata predisposta dai tre promotori, Olevano, Frondini e Ramadori, per dimostrare che le arti, quando si uniscono, producono meglio. Il terzo incontro alla Sapienza, dopo la parola e la danza era dedicato alla canzone. Subito sono entrate in campo le giovanissime protagoniste, perché anche di promozione si tratta, musica dei giovani per i giovani. Quindi due liceali, Pepita Francia e Maria Sole Basile Frondini per quanto di meglio si potesse offrire di piacevole e stimolante a un pubblico di “catecumeni”. Puccini del “Mio babbimo caro”, Lèhar, Bernstein,e, in seguito Elton John, Stewie Wonder, e Lady Gaga in un crescendo di gradimento e di consensi, intercalati da standars jazz esposti con vera maestria dai quintettisti, Mirco Rubagni, Raffaele Chieli, Stefano Olevano, Andrea Angeloni, Federico Bruschi e Leonardo Ramadori, tutti componenti dell’Orchestra da camera di Perugia.

Ed ecco poi il momento più temuto, le due ore e passa di Passione secondo san Giovanni di Bach. Per renderla più fruibile basterebbe togliere la metà dei recitativi che raccontano cosa già note, e godersi corali e arie. Ma dal momento hce la Fondazione Cucinelli affrontava una data solenne come la prima esecuzione del capolavoro avvenuta il 7 aprile del 1724 a Lipsia, era necessario rispettare i crismi della filologia.

Una versione impeccabile dunque, con la formazione da camera del coro Canticum Novum, la formazione fondata da don Alberto e nella quale canta abitualmente anche Federica Cucinelli e l’orchestra Hermans diretta da Fabio Ciofini, un maestro che si è rivelato capace di affrontare un testo così profondo con competenza ed efficacia.

Ieri pomeriggio, sotto il cielo angelico dei cassonetti della basilica di san Pietro, ora e sempre la Betlemme della musica perugina, si è rinnovato il miracolo che il 28 settembre del 1948 convocò in san Pietro coro e orchestra del Mozarteum di Salisburgo per la prima esecuzione italiana del testo giovanneo. Ne era promotore Francesco Siciliani che rendeva la nostra città degna di presentarsi al mondo della libertà e della democrazia sotto l’emblema rigenerante della bellezza della musica. Ieri si è trattato di una produzione che la Fondazione Cucinelli ha saputo rendere territoriale e nello stesso momento esemplare, con un dispiegamento di risorse degne della causa migliore. Possiamo ricordare i solisti di canto con piacere: Sergio Foresti e Carlo Putelli nei panni di Cristo e Evangelista, poi Lucia Casagrande Raffi, Lucia Napoli, Roberto Zangari, Federico Benetti. Veramente apprezzabile il ruolo del coro, protagonista esagitato della controversia sulla scelta di Barabba, ma anche angelico esegeta dei corali con cui il fedele contempla il dolore di Cristo umanizzato. Ottimo il lavoro effettuato da Ciofini sui fugati, uno degli aspetti che più rendono pieno di umanità la Passione di Giovanni. Una riflessione umana sul dolore del mondo che ieri, come oggi si riproduce. Per trovare uno sguardo analogo sulla desolazione dell’umanità bisognerebbe sfogliare una pagina dei Colloqui di Marco Aurelio, l’imperatore che per primo, da vero stoico, intuì il lungo percorso di penitenza che avrebbe dovuto affrontare l’umanità prima della sua Redenzione.
Stefano Ragni

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